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Graziano Mesina intervistato dalla nostra Virginia Murra nel 2013, dopo aver ottenuto la grazia nel 2004 dall’allora presidente della Repubblica Carlo Azeglio Ciampi

È scomparso stamattina Graziano Mesina, conosciuto anche con l’appellativo “la primula rossa”, aveva 83 anni, e da tempo era in cura  per una seria patologia, dalla quale non si è più ripreso.

Una vita trascorsa negli istituti penitenziari di mezza Italia, tra evasioni, e tentativi di fare pace con la giustizia, e dopo circa 40 anni di detenzione, nel 2004, l’allora Presidente della Repubblica Ciampi, gli concesse la grazia. Avrebbe dovuto essere un riscatto, una seconda opportunità che la vita e la Giustizia gli concedevano per dimostrare che sul suo passato complici erano stati il substrato di una società barbaricina troppo spesso compromessa con atti criminali, quali i sequestri di persona, ma non solo, dato che il  malessere sociale manifestava anche altri aspetti in quel tessuto così vulnerabile alla trasgressione della legge.

Avevo incontrato Mesina ad Orgosolo, una decina  d’anni dopo la concessione della grazia. In apparenza sembrava un’altra persona, perfettamente integrato nel luogo delle sue origini, ma alla luce dei successivi avvenimenti, solo qualche mese più avanti, mi resi conto che il tarlo di quel destino incline a compromettersi con atti illeciti, aveva di nuovo avuto ragione di quell’animo coriaceo, incapace di segnare un confine solido con la fragili fondamenta della sua nuova esistenza,

Riporto integralmente l’articolo, alla fine l’intervista con quello che doveva essere ‘il nuovo Mesina’.

A Orgosolo è una mattinata gelida, il vento crea piccoli vortici di polvere in Piazza dei Caduti, e contribuisce ad abbassare la temperatura  intorno al Supramonte. Ci troviamo a circa 650 m. d’altitudine, e a metà gennaio  da queste parti hanno visto anche di peggio.

In un angolo di questa bella piazza, scorgo Graziano Mesina, che sorride in compagnia di  qualcuno nei pressi di un locale pubblico, questo è il luogo in cui avevamo convenuto d’incontrarci. Stretta di mano e solite frasi convenzionali, poi ci dirigiamo verso il bar. Fuori per me è impossibile stare,  risiedo nella costa orientale dell’isola, dove il clima è decisamente più mite. Peccato, Orgosolo si presenta come una cartolina illustrata,  nonostante i rigori della stagione invernale,  il cielo è incredibilmente azzurro.

Al bar ci sistemiamo intorno ad uno dei tanti tavolini, ignoriamo il brusio dei presenti di fronte al bancone, e cominciamo la nostra chiacchierata; dopo un quarto d’ora ci rendiamo conto che comunicare in quel luogo così animato di gente non è semplice, per cui Graziano decide di spostarci in un altro bar. In effetti qui l’atmosfera è più tranquilla. Mesina riprende il discorso senza difficoltà, la sua natura schietta ed estroversa, gli permette d’inoltrarsi anche nelle vie meno illuminate del suo leggendario e burrascoso passato. Non occorre tanto per capire che è un fiume in piena,  e non ci sono argini che tengano.  Nonostante i numerosi incontri con i giornalisti, si intuisce la necessità di raccontare  vicissitudini che lo hanno pesantemente segnato interiormente. E lo dice chiaro che gli hanno trasmesso traumi difficili da rimuovere, una commistione d’ingiustizie e rabbia che forse non metabolizzerà mai.

La  voce di Graziano è una raffica che non risparmia niente e nessuno, nemmeno se stesso; è un porgersi generoso nei confronti della verità, col suo  seguito di fatti ancora roventi. Rievoca gli episodi salienti che lo hanno inesorabilmente condannato ad una dura pena detentiva. Ammette di avere commesso errori sui quali la giustizia non poteva sorvolare, ma punta il dito sulle responsabilità di un trattamento penitenziario caratterizzato da eccessivi rigori, fino a sorvolare sui diritti umani di chi deve scontare il proprio debito con la giustizia, ma resta un essere umano degno di questo nome, e come tale dovrebbe essere rispettato.

Ho pochissimo spazio per i miei interventi,  è simile ad un’onda in piena, travolge domande ed eventuali obiezioni, dopo 40 anni di carcere si sente in qualche modo ‘in credito’ verso la giustizia, almeno su certi aspetti del suo passato. E non si può dissentire quando sostiene che certi assassini, dopo neppure una decina d’anni di carcere, si ritrovano già fuori, mentre nei suoi confronti l’accanimento giudiziario probabilmente è andato oltre. La legge dovrebbe essere uguale per tutti, questo leggiamo sulle pareti di ogni tribunale. .I reati commessi da Mesina, meritavano altre riflessioni,  magari una riduzione della pena.

Dietro ogni omicidio ci sono dinamiche e risvolti sociali che meritano analisi profonde, non c’è bisogno d’inoltrarsi nei meandri dell’antropologia criminale, è comunque giusto comprendere (non giustificare..) le ragioni che hanno spinto un individuo ad agire d’impulso e a farsi giustizia da sé.

La Barbagia degli anni 50’ e 60’, era tutt’altro che una zona franca nella Sardegna dei disagi  sul piano economico. Roma era lontanissima, e non si allude alla distanza geografica, ma all’assenza dello stato e delle istituzioni, all’indifferenza verso queste regioni del malessere, che avevano bisogno d’interventi precisi, non soltanto di misure repressive da parte delle forze dell’ordine. Graziano, nel suo ragionamento, fa notare proprio questo. Esacerbare un difficile processo, che aveva anche riferimenti di carattere culturale, non poteva che essere controproducente, esasperava la tendenza dei barbaricini all’insofferenza verso la repressione, con metodi che in qualche modo urtavano con l’indole indipendente e orgogliosa della gente. L’eccessiva presenza dei militari, poi, conseguenza dei numerosi atti di violazione dell’ordine pubblico,  non portava miglioramenti, ed era un messaggio preciso della gente di Orgosolo, che chiedeva altre risposte per porre fine alla logica dell’aggressione e della vendetta. Questo splendido centro barbaricino, di circa 5 mila abitanti, in quegli anni si aspettava rivolgimenti con atti concreti. I costi per il mantenimento dei numerosissimi rappresentanti delle forze dell’ordine, avrebbero potuto essere convertiti in iniziative di carattere economico, portando così qualche soluzione alle problematiche del luogo, che non di rado erano la causa diretta del malessere sociale, dei fortissimi disagi in cui era costretta a misurarsi la popolazione. In definitiva attriti come cortocircuiti tra la gente, stanca delle promesse del politico di turno, e lo stato, che si presentava sempre in divisa, con le armi in pugno delle forze dell’ordine. Non si conosceva altro volto dello Stato italiano.

In simili scenari maturavano  le ribellioni, le devianze, i sequestri di persona. Inutile sottolineare che non è la violenza la risposta più idonea alle ingiustizie,  ma gli errori si possono prevenire, o almeno ridurre, con la dovuta attenzione da parte dello Stato, il quale non può limitarsi a ‘curare’ il ‘male’, ma deve fornire strategie adeguate per evitare che si sviluppi, in maniera poi non semplice da controllare.

Ascoltando Mesina, di  cui sapevo abbastanza attraverso gli scritti e i resoconti di tanti altri che lo avevano incontrato, mi sono resa conto che egli non è individuo violento per natura, se fosse cresciuto in un substrato sociale diverso, meno incline a farsi giustizia da sé, il suo destino avrebbe potuto seguire altre svolte. Non è soltanto un parere fine a se stesso; sono tanti quelli che hanno fatto  un bilancio del suo vissuto travagliato, e hanno concluso che un grave errore commesso a vent’anni – un omicidio per vendicare un fratello innocente, ucciso senza ragione né pietà, ai cui responsabili la giustizia non riusciva ad arrivare –  si porta dietro tante variabili, che vanno anche ricercate nei contesti sociali di riferimento.

A volte è una società, con le sue peculiarità morali e antropologiche ad armare le mani, e ci si orienta in un ragionamento che ha una logica, anche se un individuo dovrebbe essere d’acciaio in certe circostanze, ‘incorruttibile’ verso le ingiustizie che spingono a mettere un cuore di pietra nel piatto della bilancia che pende..  G. Parini sosteneva: “Umano sei, non giusto..”

Sentirsi abbandonati in una legittima richiesta di giustizia, può in ogni caso creare pericolosa disaffezione verso le leggi dello Stato, il quale con le sue troppe assenze, istiga in qualche modo a cercare una via non conforme alle sue delibere. Uno Stato latitante produce altri latitanti. Non è filosofia, è la semplice lettura della realtà.

Graziano Mesina non vuole comunque sentire parlare di “Codice Barbaricino”, in questo senso è ‘un dissacratore’ di pubblicazioni sull’argomento, e tesi sostenute in ambienti giuridico-accademici. Egli afferma che alcuni rappresentanti della cultura isolana e non, per stigmatizzare il fenomeno del malessere che ha riguardato la Barbagia, si siano inventate letteralmente queste leggi orali, che a suo avviso non troverebbero un autentico riscontro nei fatti. Non sarebbero a suo dire, che supposizioni, una pessima interpretazione della realtà. “Ogni società – sostiene – ha i suoi usi e consuetudini.  Noi, qui ad Orgosolo, non abbiamo mai seguito un Codice che ha vincolato il nostro comportamento e le relazioni tra gli individui. Ognuno ha agito e valutato individualmente e liberamente le situazioni che lo hanno riguardato, senza riferimenti morbosi a regole che in verità non sono mai state stabilite, né in passato né mai. Non prova molta simpatia verso coloro che continuano imperterriti a parlare di questo ‘fantomatico’ Codice, così egli lo definisce.

Ascolto e prendo atto, come ribattere su un aspetto così importante, quando egli ha vissuto da protagonista nella società barbaricina, ne ha assorbito gli umori e le inquietudini, ma alla sua maniera, senza sentirsi legato da vincoli stretti come pastoie. Tale sarebbe stato il Codice Barbaricino.

Graziano preferisce andare oltre la questione, che ritiene marginale, rispetto alle traversie delle sue vicende giudiziarie. Non ha certo una buona opinione degli istituti di pena nei quali si è trovato  nel corso dei suoi 40 anni di carcere.

Ha un grande rimpianto:  non avere avuto l’opportunità di studiare, egli afferma che gli è stato in definitiva vietato avvicinarsi alle biblioteche, e questo perchè i libri potevano in qualche modo veicolare ‘messaggi’.. “Sei troppo intelligente – pare sostenessero i responsabili di questi istituti, quando egli inoltrava precise richieste in merito. Potresti diventare più pericoloso..”

“E si stava in questa trincea – continua Mesina – giorno dopo giorno, anno dopo anno.. a riflettere con rabbia su questi diritti mancati..”

Risposte che ovviamente non potevano giustificare ai suoi occhi il rifiuto di un diritto che in fin dei conti avrebbero sublimato in positivo l’istinto verso la ribellione. “E poi” – dice – “mi parlavano di ravvedimento.. Ma come si può ricostruire la vita di un individuo se non gli si permette di migliorare, di preparare il suo futuro – quando se ne prospettasse uno fuori da quelle mura – senza offrirgli le opportunità necessarie? Studiando lo si distoglie da pensieri di devianza, dalla solitudine e disperazione, derive insidiose alle quali  il carcere vissuto senza speranza può portare..

Il rifiuto era il veleno peggiore che potessero inocularmi. E poi si stupivano delle mie evasioni..”

Racconta di avere  subito 24 anni di regime carcerario durissimo, prima in applicazione della legge 90’, entrata in vigore negli anni 80’, poi sostituita, nel 92’, dalla  41bis, un intervento che doveva rappresentare la reazione dello Stato alla strage del 23 maggio, nella quale persero la vita Falcone, la moglie e la scorta.

“Io sentivo di non meritare quel trattamento, nonostante i miei errori – prosegue –  Non possedevo il curriculum di chi aveva commesso stragi in complicità con organizzazioni criminali. Ho vissuto per anni nei sotterranei delle carceri, c’era soltanto da impazzire. Non si può spiegare facilmente cosa si prova in certe condizioni di vita. “

Ci sarebbe da aggiungere che oltre a tutti gli articoli della Costituzione italiana, anche l’articolo 3 della Convenzione di Ginevra proibisce “gli oltraggi alla dignità umana dei detenuti, e i trattamenti umilianti e degradanti”

E tanto per restare in tema, proprio  l’8 gennaio scorso, arriva la condanna della Corte Europea nei confronti delI’talia, per violazione delle leggi internazionali sui diritti umani, in termini di trattamento carcerario, che è stato ritenuto ‘degradante e inumano..’

I commenti sarebbero solo retorica, a questo punto.

A Graziano Mesina chiedo cosa ne pensa del fatto che la sua esistenza, per tanti, è diventata leggenda, anche alcuni giornalisti lo hanno definito una sorta di Robin Hood..

Egli prima sorride, poi quasi appare infastidito. “Sono esagerazioni” – risponde – “io per amore di verità ho amato e amo profondamente la mia Barbagia, e Orgosolo in particolare, ma non ho mai manifestato atteggiamenti tipici di questo personaggio. La mia storia è un’altra.

Inutile introdurre domande sulla vicenda Kassam, o sul suo incontro con Feltrinelli, è tempo sprecato, centellina le risposte, sostiene di avere già detto tutto ciò che sapeva, anche se i dubbi per chi ascolta sono legittimi..

Dice di avere pagato abbastanza anche per colpe non commesse, e si riferisce alle armi che le forze dell’ordine trovarono nella sua casa, nell’astigiano, si parla degli anni ’90, reato che sostiene di non avere mai commesso, ma è inutile cercare di approfondire, aggiunge soltanto che il suo intervento nel sequestro Farouk non è certo dipeso da una iniziativa personale, che è intervenuto dietro precise richieste, e che non solo ha ricevuto in cambio ingratitudine, ma anche accuse con cui non aveva nulla a che fare.

Per quel che riguarda l’editore Feltrinelli, niente di nuovo, ha ribadito di non averlo mai incontrato, di non averne mai voluto saperne di politica, non c’erano fini di questo tipo nella sua latitanza. Era stato avvicinato da tanti noti personaggi negli anni roventi del caos, tra gli anni 60’ e 70’, servizi segreti inclusi, ma ha sempre declinato ogni responsabilità o coinvolgimento in attività eversive, .

Anche quando gli si faceva notare la condizione di colonia in cui si trovava la Sardegna, con parte delle sue coste vincolate dalle servitù militari. Centinaia di migliaia di ettari in mano ai militari della Nato, compreso il bellissimo litorale nei dintorni di Teulada, decine di km chiusi da filo spinato, e tante altre aree dell’isola precluse agli abitanti e destinate ad esercitazioni militari, e poligoni di tiro. Afferma che non poteva decidere il destino della Sardegna.

Nonostante sia sempre stato sensibile ai tanti disagi sofferti dall’isola, ha sempre rifiutato d’impegnarsi in prima linea. Il suo spirito indipendente e il modo d’intendere  la vita, che non prevedeva padroni di alcun genere, lo portavano a concludere che certi obiettivi per lui erano come campi minati, non aveva competenze specifiche su certe materie e sarebbe stato solo usato per fini forse lontani dall’interesse dell’isola. Nel 93’ ha pubblicato un libro autobiografico “Io, Mesina”, dove la sua esistenza è messa in luce con obiettività e chiarezza.

Graziano, quanti anni ha in realtà? Non alludo all’età anagrafica, penso abbia capito..

Forse una trentina, e pure scarsi..

Che ruolo ha svolto la donna nella società barbaricina, è convinzione comune che si tratti di comunità orientate sul matriarcato.. Cosa ne pensa?

Le donne hanno sempre contato in Barbagia.

La vita a volte va osservata in prospettiva, oggi ha una visione più chiara e lucida degli eventi che hanno maggiormente caratterizzato la sua esistenza?

La vita ha sempre un po’ di nebbia intorno, ma bisogna essere sinceri per capire quale ruolo si è voluto interpretare, e comunque restano sempre dei lati in ombra, anche quando si è obiettivi.

Ogni volta che è riuscito ad evadere dal carcere, era ben consapevole che non avrebbe potuto comunque vivere da uomo libero,  e che il rischio d’essere ripreso era altissimo, come poi in realtà è sempre accaduto. Erano certo valutazioni che non sfuggivano alla sua intelligenza, allora che cosa realmente la spingeva a violare le barriere degli istituti di pena?

La voglia di vivere, io sono nato libero e non mi sono mai rassegnato a vivere senza libertà, soprattutto quando il trattamento in carcere era durissimo.

Quale dei suoi affetti personali ha influito maggiormente nel corso della sua esistenza?

Forse nessuno, ho voluto davvero tanto bene a mia madre, ma io mi sono formato da solo, nel bene e nel male, proprio per questo mio carattere indipendente, ribelle.

Chi è oggi Graziano Mesina, che cosa chiede alla vita e alla società?

Oggi Mesina è una persona tranquilla, che lavora, e chiede soltanto il rispetto della gente che gli sta  intorno.
Virginia Murru
Sabato 12 aprile 2025 – Anno XIX