Miniguida alla pronuncia delle parole nel dialetto ligure di Albenga (arbenganeṡe)

Indicazioni per la pronuncia del dialetto di Albenga (arbenganeṡe)


Nella foto: Vincenzo Dagnino, Vincenzo Bolia e Angelo Gastaldi

Per facilitare la lettura delle parole del dialetto ligure di Albenga ossia dell’arbenganeṡe (albenganese) e di conseguenza per una loro corretta pronuncia, riteniamo utile pubblicare brevi  ”Indicazioni per la pronuncia” a cura del giornalista Vincenzo Bolia, poeta e cultore del dialetto ingauno (al centro nella foto con i poeti Vincenzo Dagnino e Angelo Gastaldi).

FONETICA E FONOLOGIA

La fonetica studia i suoni di una lingua o di un dialetto in relazione all’emissione, alla pronuncia del suono stesso.
La fonologia invece studia i fonemi, ossia quei suoni che in una determinata lingua o dialetto hanno valore distintivo e assumono quindi una particolare valenza.
I fonemi si dividono in tre gruppi:
– vocali;
– consonanti;
– semiconsonanti.

ALFABETO

L’alfabeto arbenganeṡe o, in altri termini, l’alfabeto del dialetto ligure di Albenga (che fa parte dell’area linguistica ligure centro-occidentale),  è basato sulla struttura latina ed è costituito da 26 lettere, ossia le 21 dell’alfabeto italiano, più “j”, “k”, “w”, “x” e “y”, in quest’ordine:
a-b-c-d-e-f-g-h-i-j-k-l-m-n-o-p-q-r-s-t-u-v-w-x-y-z (forma minuscola);
A-B-C-D-E-F-G-H-I-J-K-L-M-N-O-P-Q-R-S-T-U-V-W-X-Y-Z (forma maiuscola).

La parlata arbenganeṡe, come del resto la lingua italiana e quella genovese (e altre ancora come, ad esempio, lo spagnolo, il francese, il portoghese, il romeno ecc.), fa parte delle lingue romanze, dette anche latine o neolatine, tradizionalmente associate a quelle galloitaliche, pur discostandosene per varie caratteristiche.

L’arbenganeṡe è parlato non solo nella cittadina di Albenga (in epoca romana Albingaunum e, nel Medioevo, Albingana) e nelle sue sei frazioni: San Fedele (San Fé), Lusignano (Lüxignan),  Bastia (Bastia), Leca (Leca), Campochiesa (Campugexa) e Salea (Salia), ma anche nella valle del Lerrone  (Leȓùn), dell’Arroscia (Aȓoscia), del Pennavaira (Pennavaira) e del Neva (Neva), pur con varietà differenziate tra loro (e inflessioni diverse) rispetto al centro linguistico irradiatore ossia al caratteristico centro storico di Arbenga, fra i più belli e visitati della Liguria.

Tale parlata, che deriva per l’appunto dal latino volgare, mantenendo alcune caratteristiche proprie dell’antico linguaggio degli Ingauni, ha acquisito nel tempo significativi apporti lessicali sia dal genovese, prima, che dall’italiano, poi, pur con variazioni e adattamenti.

Le vocali sono: a (A), e (E), i (I), o (O), u (U), come in italiano, e si dividono in atone (prive di accento) e toniche o accentate (ossia con accento tonico).

Le parole scritte senza accento (atone) si definiscono piane e la voce si posa sulla penultima sillaba della parola (ad es. arbenganeṡe: sasissa).
Invece quelle scritte con l’accento (tonico) indicano la sillaba su cui si posa la voce nella pronuncia della parola (ad es. arb.: gàggia),

Le consonanti, così definite in quanto incapaci di risonanza autonoma cd autonomia sillabica, sono: b (B), c (C), d (D), f (F), g (G), h (H), j (J), k (K), l (L), m (M), n (N), p (P), q (Q), r (R), s (S), t (T), v (V), w (W), x (X), y(Y), z (Z).
Le consonanti, che hanno tuttavia un loro suono (detto consonantico), sono il prodotto di un ostacolo (labbra, lingua, denti) all’emissione del fiato durante la pronuncia.

PRONUNCIA

Le lettere dell’alfabeto si pronunciano sostanzialmente come in italiano, ma appare necessaria qualche precisazione:

  • la lettera h (H) è muta, cioè non si pronuncia;
  • la lettera x (X) si pronuncia come la J francese. Ad es. “jardin” (arbenganeṡe: géxa/chiesa);
  • la lettera z (Z) si pronuncia con il suono sonoro s della parola italiana “rosa” (arb.: Zena/Genova, ünze/undici).

Vista però l’insufficienza di lettere per rappresentare tutti i fonemi, all’arbenganeṡe sono state “affiancate” alle vocali “i” e “u” e alle consonanti “r” e “s” alcuni segni diacritici per modificare o mutare il suono; esse sono:

  • ï (Ï) = corrisponde al suono mouillé francese. Ad es. “familles” (arb.: famïe/famiglie);
  • ü (Ü) = si pronuncia come la Ü nel tedesco. Ad es. “führer” (arb.: üga/uva);
  • ȓ (Ȓ) = per la R palatale, tipica della parlata albenganese (ma non solo), si pronuncia come il suono R inglese. Ad es. “celery” (arb.: selleȓu/sedano);
  • ṡ (Ṡ) = si pronuncia come il suono S dolce in italiano. Ad es. “rosa” (arb.: reuṡa); è stata “affiancata” la ṡ (Ṡ) per differenziarla dal suono della S sorda in italiano. Ad es. “divertirsi” (arb.: divertise/divertirsi).

Inoltre il dittongo eu (EU), il trittongo oeu (OEU) e i trigrammi sc-c (SC-C) e ssc (SSC) si pronunciano come di seguito riportato:

  • eu (EU) = come nel francese. Ad es. “fleur” (arb.: zeugu/gioco); l’accento su l’una o l’altra vocale, elimina il dittongo (arb.: axéu/aceto, leún/leone);
  • oeu (OEU) = come nel francese. Ad es. “coeur” (arb.: coeu/cuore);
  • sc-c (SC-C) = rappresenta il suono sc seguito dalla C dolce (arb.: sc-ciümma/schiuma);
  • ssc (SSC) = rappresenta il suono sc rafforzato (ad es. arb.: passciùn/passione).

     NOTA BENE

Consonante Z (zeta): croce e delizia dei liguri 

Il suono della consonante italiana Z (zeta), nella lingua Genovese e nei dialetti della Liguria (fra i quali l’arbenganee), ha sempre creato per chi si accingeva a scrivere dei ragionevoli dubbi nella scelta del grafema da utilizzare in quanto lo stesso è un suono “particolare” che sta tra la Z (dell’italiano “pozzo”) e la S dolce o sonora (dell’italiano “rosa”).

Per quanto riguarda il dialetto ligure di Albenga, parole come lezze, gazza, trezze… potranno suscitare qualche ragionevole dubbio, specialmente in coloro che sono alle prime armi nella scrittura del dialetto; si dovrà scrivere, ad esempio, lezze o leṡṡe?, gazza o gaṡṡa?, trezze o treṡṡe?

Per ovviare a questi dubbi, per “tagliare la testa al toro” o meglio per semplificare, appare sostenibile la soluzione di scrivere le parole con il grafema Z (es. lezze, gazza, trezze…) e di pronunciarle con il suono della S dolce o sonora (leṡṡe, gaṡṡa, treṡṡe…).

ACCENTO

Nella lingua italiana esistono due tipi d’accento:

  • accento tonico (che interessa tutte le parole in quanto ciascuna viene pronunciata “enfatizzando” una sillaba più delle altre, ma che di solito non viene indicato con un segno grafico);
  • accento grafico (che può essere acuto (´) o grave (`).

Nel dialetto arbenganeṡe, gli accenti sulle vocali sono tre:
«acuto» (´) = suono chiuso. Ad es. perché (arb.: néve);
«grave» (`) = suono aperto. Ad es. caffè (arb.: bèllu);
«circonflesso» (^) = allunga il suolo (ad es., arb.: âṡe).

Anche i due punti sopra una vocale allungano il suono (ad es. arb.: famïe).
Il trattino tra due vocali (e-e) lega insieme i suoni di due grafemi  (ad es. arb.: e-e türe).

Ciò premesso, ad oggi possiamo affermare che non esiste un criterio univocamente riconosciuto per la trascrizione dei dialetti liguri, e, men che meno, una grafia standard per l’insieme di queste parlate che, proprio perché “parlate”, non hanno quasi mai una forma scritta se non le principali, tipo ad esempio il genovese che più che dialetto è una vera e propria lingua con naturalmente una sua grafia, nata nel Medioevo, regole grammaticali, vocabolari e nobile e riconosciuta letteratura, sviluppatasi a partire dalla fine del XIII secolo.

Per quanto riguarda la parlata di Albenga, nei lavori di ricerca non sono stati reperiti documenti o scritti  se non testi trecenteschi in volgare albenganese, che presentano, per la loro antichità e la loro natura un notevole interesse linguistico. Normalmente nel XIII sec. gli atti pubblici si redigevano in latino medioevale, ben noto agli amministratori ed ai segretari, ma essendo gli appalti diretti agli artigiani che dovevano eseguire i lavori, al fine di evitare incomprensioni e contestazioni, si era preferito redigerli in volgare, rispettando nelle parti essenziali la terminologia in uso. Perciò, malgrado che i testi siano infarciti di parole latine e non manchino prestiti del volgare toscano, che stava imponendosi come lingua nazionale, il loro valore documentario resta rilevante (cfr. Rivista di studi liguri/Istituto di studi liguri [A. 51, n. 1-3 (Gen.-Set.) 1985]).

Molto interessante anche la preghiera alla Vergine di Anonimo Albenganese “Sanctissima Regina Màire de Dè” del 1461 (cfr. Rivista ingauna e intemelia. Nuova serie XXXIX (1984), n. 3-4).

I primi scritti in vernacolo albenganese moderno sono stati fatti invece dalla maestra Angioletta Romagnoli – almeno così si legge nel suo libro “Poesie” (stampato nel novembre 1989 dalle Edizioni del Delfino Moro di Albenga) – : “Sono nata ad Albenga il 31 agosto 1908. Ho insegnato per oltre quarant’anni nelle scuole elementari del Comune di Albenga. Ho iniziato a scrivere poesie in dialetto quando il Dott. Mario Perrone, Provveditore agli Studi, sapendo che avevo una certa attitudine a scrivere versi, mi consigliò di comporre per gli scolari qualche poesiola in dialetto albenganese”. Di queste “poesiole” (come lei le definiva), risalenti forse agli anni Trenta del secolo scorso, purtroppo non è stata rilevata traccia, nonostante meticolose ricerche d’archivio.

Nell’agosto 1979 la Tipolitografia F.lli Stalla di Albenga diede alle stampe il volumetto “Rime in dialetto ligure albenganese” dove venivano riportate, tra le altre, ‘I arbenganesi’ e ‘Due lavande(r)e d’Arbenga i se saluan de mattin vixin a Senta’, la prima del 1952 e la seconda del 1953.  E questi testi, probabilmente, sono i primi testi documentati scritti nella parlata “moderna” di Albenga; intanto alla fine del 1978, su suggerimento proprio di Angioletta Romagnoli, venne edita ”Agendina Albenganese 1979” (Alda Edizioni di Alassio), con quattro canzoni “tradotte” nel dialetto di Albenga dall’autore Vincenzo Bolia.

Poi, nel dicembre 1981, venne alla luce  “… e te ghe daggu a zunta!” (Raccolta di proverbi e modi di dire: giochi, scherzi e filastrocche in dialetto albenganese), a cura di Nada Ricci Torri,  per conto delle Edizioni del Delfino Moro. A questo libretto, formato tascabile di 116 pagine, fecero seguito due libri di Angelo Gastaldi, sempre per le Edizioni del Delfino Moro: “Vecchi detti, motti ed espressioni degli Ingauni” (ottobre 1992) e “De tüttu in po, ricordi d’in arbenganeṡe innamu”au du so paiṡe (luglio 1996).  Nel frattempo, nel marzo 1995, fu pubblicato il libro di poesie “A funtana” di Vincenzo Dagnino (Edizioni del Delfino Moro)  a cui fece seguito, nel luglio 2005, “In saccu de parolle… tra favole, leggende, proverbi, filastrocche e giochi delle valli di Albenga nella tradizione orale”, a cura di Marina Manieristi et al. (Edizioni del Defino Moro). Cinque  anni dopo, nel 2010, per i tipi della Nuova Editrice Genovese di Genova fu pubblicato il libro di poesie “Liguria e altre poesie nel dialetto ligure di Albenga” di Vincenzo Bolia, contenente anche utili ‘Indicazioni per la pronuncia’; nell’ottobre 2011, è ancora Vincenzo Dagnino a dare  alle stampe un altro suo libro di poesie:  “Farfalle” (Litografia Bacchetta di Albenga).

La pietra miliare del dialetto ligure di Albenga fu pubblicata nel gennaio 2009, quando per conto del Comune di Albenga la Tipografia F.lli Stalla di Albenga diede alle stampe il monumentale ‘Disiuna”iu ArbenganṡeDizionario Albenganese‘, scritto da Angelo Gastaldi (2 volumi, pagg. 1092), che non può assolutamente mancare nelle case degli albenganesi amanti del loro dialetto;       e dello stesso Gastaldi erano già stati dati alle stampe dalle Edizione  del Delfino Moro  di Albenga ‘De tüttu in po’ (1996) e ‘Vecchi detti, motti ed espressioni degli antichi Ingauni’(1992). entrambi contenenti argomenti legati ad Albenga e al suo territorio ed anche un interessante glossario sul dialetto di Albenga.

Tornando alla trascrizione della parlata di Albenga, l’Autore  ha ritenuto utile uniformarsi  nei criteri di stesura del suo studio propedeutico sul dialetto ligure di Albenga (e quindi anche in questo estratto), alle indicazioni del Convegno di Sanremo della Consulta Ligure (10-12 ottobre 1976) e alle “norme” stabilite dal Comitato scientifico, presieduto dalla prof.ssa Giulia Petracco Sicardi dell’Istituto di Glottologia dell’Università di Genova (riportate nei volumi del ‘Vocabolario delle parlate liguri‘ editi successivamente dalla Consulta Ligure).

I caratteri “normati” dal Comitato non sono stati adottati completamente in quanto indisponibili sui più comuni programmi di video-scrittura per pc.  Per la caratteristica R palatale, tipica della parlata della piana di Albenga e del suo entroterra, anche grazie ai contatti con il prof. Fiorenzo Toso, dialettologo e filologo genovese, in assenza della lettera R con accento circonflesso, è stato scelto un carattere speciale di Word molto simile (Ȓ) ossia il segno diacritico  “breve inverso o arco(lettera R con sopra  il segno diacritico a forma di metà superiore di un cerchio ( ̑ ),  cioè come un breve (˘) capovolto che assomiglia a una mezzaluna con le punte rivolte verso il basso.

Tuttavia, come già detto, poiché nessuno è vincolato a “regole” rigide per quanto riguarda la pronuncia e tanto meno per la grafia, ciascuno è libero di scrivere la parlata arbenganeṡe (albenganese) nel modo che ritiene più opportuno; e  tutti gli autori cosiddetti “dialettali”, pur scrivendo con grafie e regole non sempre combacianti, potranno liberamente manifestare il loro identico amore e l’attaccamento alla propria Terra (di nascita o di adozione) e alla gente del luogo.

                                                                                       Buona lettura

 

ARBENGA

Cumme a l’è bèlla Arbenga
sittè antiga.
A tûre du culéggiu Oddu
da l’atu in prìmmu ciàn,
ci
ǘ luntàn
u campanìn de San Miché;
e peui e tûre
de Palassu Veggìu e di Malasemènsa,
che da seculi abbrassèi,
i se fan cumpagnia.
E teiti dappertüttu
in scè-e rügu
e cà ingaune.
Mi e spe
ȓu de rivegghite prestu,
Arbenga, mé sittè dae sèntu tûre,
baxà da-a Sènta
e cun l’I
uȓa
ch’a te mi
ȓa da luntan.

ALBENGA

Com’è bella Albenga
città antica.
La torre del collegio Oddo
dall’alto in primo piano,
più lontano
il campanile della cattedrale;
e poi le torri
di Palazzo Vecchio e dei Malasemenza,
che da secoli abbracciate
si fanno compagnia.
E tetti dappertutto
sulle rugose case ingaune.
Spero di rivederti presto,
Albenga, città mia turrita,
baciata dal Centa
e con l’isola Gallinara
che ti guarda da lontano.

 

LIGURIA

Cunturnà dai munti
e dau bleu du mà,
scavà in sà e in là
da lünatiche sc-iümè
ȓe,
patria de l’u
ȓivu
e du sé vèntu
u,
Liguria, mé tèra,
cùn ti l’invèrnu
u l’è cumme primave
ȓa.

LIGURIA

Cinta dai monti
e dal blu del mare,
scavata qua e là
da lunatici torrenti,
patria dell’ulivo
e del ciel ventoso,
Liguria, terra mia,
con te l’inverno
è come primavera.

(dal libro di Vincenzo Bolia ‘Liguria e altre poesie (nel dialetto ligure di Albenga)’ Nuova Editrice Genovese, Genova, dicembre 2010)

Venerdì 10 dicembre 2010 – Anno IV